giovedì 26 gennaio 2006

"Partimmo in 250, tornammo in 452". Giornata della memoria a Orsara di Puglia ("Luceraweb")

di Francesco Quitadamo - 26 gennaio 2005

Gaetano Languzzi ha 83 anni. E’ nato e vive a Orsara di Puglia. Ha vissuto la Grande Guerra attraverso il dolore di suo padre che vi partecipò. Poi, giovane soldato fascista di appena 20 anni, partì per la Libia conoscendo l’orrore del secondo conflitto bellico mondiale. Ha scritto due libri su quelle tragedie. Entrambi sono stati adottati come testi scolastici dal Liceo scientifico “Volta” di Foggia e dall’Università di Urbino. In “La grande follia”, Gaetano ha raccontato la seconda guerra mondiale attraverso la sua testimonianza diretta. Oggi, al racconto di quei giorni, si aggiunge la memoria di un episodio che colpì una famiglia di ebrei orsaresi. “Prima che scoppiasse la seconda guerra mondiale – spiega a Luceraweb – non sapevamo che i Buonassisi fossero ebrei. Samuele, mio amico e capostipite della famiglia, aveva un figlio che si chiamava Biagio. Biagio era fascista. Partecipò alla marcia su Roma. Poi arrivò la chiamata alle armi. Lui si presentò ai gerarchi come Biagio Buonassisi in Samuele. I fascisti indagarono. Scoprirono le origini ebraiche della sua famiglia e lo rispedirono a casa”. Di quella famiglia, dopo la guerra, non si seppe più nulla. “Io sono nato sotto il fascismo – continua Gaetano -. Sono stato fascista. Ho visto i miei compagni d’armi morire al mio fianco, senza che io potessi fare niente. Ho visto Russelli Mario e Patacca Matteo cadere davanti ai miei occhi sotto le granate, disarmati, senza fucili e senza niente. Se qualcuno mi avesse detto cosa sarebbe stato il fascismo e mi avessero detto che premendo un bottone avrei potuto far saltare in aria il mondo, ebbene io l’avrei fatto. Per la fame siamo andati nei prati a mangiare l’erba. Le nostre feci erano uguali a quelle delle capre. Il fascismo ci ha trasformati in animali. Oggi non so perché ci sono ancora fascisti in Italia, non lo capisco”. Michele Inglese ha 82 anni. Anch’egli è nato e vive a Orsara di Puglia. Da soldato italiano che voltò le spalle al Duce fu deportato a Norimberga e poi a Regensburg. I tedeschi, insieme ad altri prigionieri operai ammassati nei campi di concentramento, un giorno lo portarono anche ad Auschwitz. “Ci portarono lì per caricare del materiale, scarpe e vestiti – racconta Michele -. Non sapevamo nulla di quanto avveniva in quella prigione. Vedemmo con i nostri occhi i corpi magrissimi e senza forza di quella gente. Non si reggevano in piedi, cadevano a terra come foglie”. Ogni anno, il Giorno della Memoria è una ferita aperta nel cuore. “I tedeschi ci interrogavano – continua Michele -. Eravamo nudi, in piedi di fronte a loro. Ci chiesero se volevamo andare volontari con la Repubblica di Salò. Dei 250 che catturarono a Orsara, soltanto uno aderì alla loro proposta e abbiamo saputo che morì cercando di scappare”. I tedeschi fecero lavorare Michele come calzolaio per gli altri operai. A Regensburg, i deportati lavoravano per una grande fabbrica del legno dove si costruivano anche alcuni componenti dei velivoli da guerra senza pilota usati dai nazisti. “Il direttore della fabbrica era francese. Mi voleva un gran bene – racconta ancora Michele -. Aggiustavo le scarpe a lui e alle sue figlie. Un giorno, un ufficiale delle SS mi portò le sue scarpe. Mi rifiutai di aggiustargliele. Il giorno dopo fui trasferito di nuovo a Norimberga. Il direttore non ne sapeva nulla. Si informò e mandò un telegramma ai tedeschi chiedendo che io tornassi nella fabbrica. Fu così che mi riportarono a Regensburg. Mangiavamo carote e patate. Due carote e due patate ciascuno. Nelle caverne ricavate nella roccia della montagna, in cui era nascosta la fabbrica, cercavamo di raccogliere erba. Dalla cucina ogni tanto ci davano delle ossa che noi grattavamo per metterle nel brodo”. Già prima del ritorno in Italia, ai militari deportati cominciavano a giungere notizie della tragica sorte che era toccata a milioni di ebrei, comunisti, omosessuali, zingari, Testimoni di Geova. Di quei 250 orsaresi, deportati militari a Norimberga e poi a Regensburg, a Orsara di Puglia ne tornarono 45. “Era il 6 luglio del 1946”, ricorda Michele.

Da “La grande follia”, di Gaetano Languzzi

“Nulla hanno insegnato i campi di sterminio nazisti, malgrado la loro continua commemorazione i genocidi si susseguono. Il mondo non è grande come una volta, è diventato molto piccolo, l’umanità è giunta ad un critico crocevia: o abbandona le etnie, i nazionalismi, il fanatismo religioso, accettando tutte le diversità esistenti, volendosi bene come fratelli, oppure si muore tutti insieme, pianeta Terra compreso”.

sabato 21 gennaio 2006

Orsara, sotto l'asfalto un frantoio del '600

articolo pubblicato su "Repubblica" il 21 gennaio 2006


Orsara di Puglia non finisce di sorprendere gli archeologi, svelando tesori del suo passato lontano. Qualche tempo fa, nell' area dell' Abbazia dell' Angelo, fu scoperto un ipogeo; ora, nel corso dei lavori di sistemazione al Cortile del Giudice, area antistante un palazzo nobiliare, la contemporanea campagna di scavi ha riportato alla luce un antico opificio. "A circa settanta centimetri dalla superficie calpestabile - racconta Francesco Paolo Maulucci, responsabile del settore Archeologia della Soprintendenza ai Beni culturali di Foggia - i nostri scavi hanno rinvenuto tracce di un antico opificio, probabilmente un frantoio. Sono emersi infatti il sistema di canalizzazione dell' acqua e altri elementi che appartengono chiaramente a un opificio". Secondo l' archeologo, si tratta di un frantoio risalente con molte probabilità al 1600, ma se ne potrà sapere di più andando avanti negli scavi in una zona più interna al Cortile del Giudice. "Le indagini archeologiche condotte a Orsara - aggiunge Maulucci - possono assumere grande importanza per dare una rilettura anche ai ritrovamenti compiuti, nel corso di diversi scavi, in altre zone della provincia di Foggia. Nella prima campagna di ricerche, quella condotta all' interno dell' area occupata dall' Abbazia dell' Angelo, siamo riusciti a far riemergere uno splendido ipogeo, del tutto simile a quelli rinvenuti tempo addietro sul Gargano. Si tratta quindi di ritrovamenti importanti perché aprono diversi interrogativi sulle modalità di penetrazione del Cristianesimo nell' entroterra preappenninico".